La vita interiore

Le gioie dell'intimità con Dio

Pubblicato: sabato 28 marzo 2009

"Adhaerere Deo, bonum est".
Lo star uniti a Dio è il vero e l'unico bene.

(Ps. LXXII, 27).


All'anima unita con Dio è promessa «la gioia e la pace nello Spirito Santo» (Rom. XIV, 17). E questa gioia «supera ogni nostro sentire» (Fil. IV, 7). Il che significa: - che non è per se stessa nell'ambito delle cose sensibili: - che per la soavità sua propria è posta incomparabilmente al di sopra di tutte le gioie di quaggiù. La si può possedere anche in mezzo ai patimenti, perché essa vola ben alto in regioni superiori ad ogni umana miseria. Per dare alle anime l'ultimo tocco di perfezione, il Signore promette che alla gioia di possederlo vada sempre unito qualche po' di tormento nel non poterlo possedere quanto si vorrebbe. E un tale tormento mentre pur fa soffrire e non cessa di meritarsi questo nome, finisce con diventare la più ineffabile gioia. La può superare, la supera soltanto la gioia del pieno possesso, nel Cielo. Le gioie sono le luminose e inseparabili adoratrici di Dio. Quando Egli viene in noi, alcune di esse abbandonano il Cielo e Lo seguono cantando la sua gloria. Quando c'è una vera gioia, Dio è là. – Quando c'è Dio, potete essere certo della presenza, insieme, della vera gioia.

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La felicità delle anime in grazia, coscienti del loro tesoro scaturisce da tre fonti: - possiedono Dio; - questo Dio nessuno può toglierlo loro, se non esse; - questo Dio non ha che un desiderio: darsi, ad ogni istante, sempre di più.

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«Sto ad ostium et pulso (Apoc. III, 20): Sono alla porta e batto». Se qualcuno risponde e mi apre, io entro per imbandirvi un misterioso convito.

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Richiamiamo al pensiero i discepoli di Emmaus che camminano accompagnati dal Maestro, la cena alla quale lo invitano, il pane che Egli loro offre e il commento dei due pellegrini: «Quanto ardore nell'anima nostra mentre Egli camminava con noi!»

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L'imitazione di Cristo (L. III, c. XIII) definisce la conversazione di due persone che si amano «sicut dilectus ad dilectum loqui». … Or bene l'uno dei due, qui, è l'Amore per essenza.

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Chi potrà mai penetrare negli abissi dell'amore, con cui è capace di amare Colui che è la pienezza dell'Amore quando s'incontra con un'anima che l'accoglie ben decisa di amarlo senza riserva?

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«Deliciae meae esse eum filiis hominum (Prov. VIII, 31): Io faccio le mie delizie nel conversare coi figli degli uomini». Così parla il Signore. Posso dire a mia volta: «Io faccio le mie delizie nel conversare con Colui che abitualmente è l'Ospite dei figli degli uomini»? Posso dirlo con tutta verità: «Me ne compiaccio veramente; ed è una delizia per me l'essere con Lui»? Se si, ho in mano la chiave delle divine intimità.

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«Da mihi bibere: Ho sete dammi da bere» «Da mihi hanc aquam: Ho sete dammi di quest'acqua» (Joan. IV, 7 e 15)

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Dall'incontro di questa duplice sete, la sete del Maestro di avere la nostra anima e la sete dell'anima di avere il Maestro, dall'incontro di questi due «dammi», sgorga la santità. Felici quelle anime che sanno desiderare!

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Chi può pensare senza rammarico alla felicità che si diffonderebbe per ogni dove, nel mondo, se tutti i cristiani vivessero in grazia di Dio, e tutte le anime abitualmente in grazia, vivessero raccolte «nel loro interno?».

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Conoscere che possediamo Dio in noi non è ancora l'abitudine di sentire intimamente che Lo possediamo. Possedere non è sinonimo di gustare, né presenza certa di presenza sentita.

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Quando a Dio piacesse unire in noi al fatto della sua presenza un intimo sentimento di essa, questa sarebbe una grazia totalmente gratuita, che dovremmo accogliere con riconoscenza, senza credere che per ciò ne venga aumentato il nostro merito.

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Al di fuori di questo favore speciale, per lo più transitorio, sempre concesso per fini misericordiosi, che dobbiamo sottoporre al giudizio di un buon direttore e vederci ben presto scomparire, Dio rimane sempre «absconditus», Colui che per rivelarsi completamente aspetta l'eternità.

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Un amico presente ad un amico in una camera chiusa: presente si, ma nascosto.

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Nascosto, si: ma presente d'una presenza assolutamente reale, benché di pura fede; che sfugge alla nostra esperienza, ma non dovrebbe sfuggire alla nostra attenzione e al nostro desiderio sempre più ardente di penetrarvi sempre più intimamente.

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Ma possiamo sapere «se si è degni di amore o di odio»?

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Le parole dell'Ecclesiaste (IX, 1) turbano le anime perché mal intese. Posso sapere se in questo momento sono colpevole o no di peccato grave? – Perché no? Più tardi non commetterò qualche colpa grave? Non posso pretendere di conoscere con certezza l'avvenire ma posso, anzi debbo aspettarmi dalla bontà di Dio che questa disgrazia gravissima, per poco che io sia attento e fedele alla grazia, non avverrà mai. Prudenza oculata e soprattutto confidenza in Dio illimitata.

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Quando ci volgiamo a Dio gridando: «Aiuto! In adiutorium meum intende», Egli non deve venir da lontano, spendere tempo a mobilitar degli eserciti, attraversare degli oceani. Tutto è preparato ed Egli sta vicino.

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Né si da soltanto prossimità, ma vera comunicazione vitale. Non manca che la visione. E' giusto che rimanga qualche cosa per l'eternità.

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Nello stesso Paradiso il «lume della gloria» non sarà qualche cosa d'interposto tra noi e Dio, ma renderà l'anima nostra capace per se stessa di possedere immediatamente Dio: facie ad facies, die S. Paolo.

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Dio, presente in noi, ospite in noi, vivente in noi… Diamo a queste parole il loro più ricco significato. Quale frase potrà tradurre il mistero di una intimità continua, di scambi reciproci, di affettuose comunicazioni che passano fra le Divine Persone e che Esse vorrebbero scambiare con noi nel centro dell'anima nostra?

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In noi, adesso, nel momento presente, Dio Padre genera il proprio Figliuolo, e il Padre e il Figlio insieme producono lo Spirito Santo. Quest'invisibile e misterioso lavoro della SS. Trinità, che costituisce il suo proprio Essere – si compie in me in questo modo del tutto invisibile, ma non meno reale.

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In me… Io chiudo gli occhi… - In questa stessa ora, in questo preciso momento nel più profondo di me, in questo sottosuolo oscuro e qualche volta così stranamente illuminato, dove il mio essere scaturisce di continuo e si perde negli innumerevoli dedali che conducono agli altri esseri fino a sfuggire completamente a me stesso, - proprio là, presso il filo povero e sottile della mia vita, gorgoglia silenziosa l'immensa sorgente della Vita infinita!

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Ascoltare, mediante una fede tenuta sempre ben desta, la Vita infinita scaturire in fondo a me!...

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Cercare, sempre mediante la fede di scoprire e seguire le molteplici derivazioni, visibili o nascoste, della Sorgente infinita che vanno ad arricchire il suo povero filo d'acqua…

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Ammirare sovra ogni altra cosa come Dio mi unisca a Lui in un consorzio stupendo nel segreto più intimo del suo essere. La generazione divina del Verbo dal Padre avviene in me, ed io vi partecipo per mezzo della grazia. La produzione incessante dello Spirito Santo dal Padre e dal Figliuolo avviene in me, ed io vi ho parte per mezzo della grazia. «Consors divinae naturae»: le parole ispirano, affermano questa realtà.

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L'atto, con cui conosco Dio, fede sulla terra, intuizione lassù in Cielo e l'atto con cui Dio conosce se stesso, sono due atti analoghi. Così ci dicono S. Paolo e S. Giovanni (1 Cor. XIII, 12 e 1 Joan, III, 2). Ora in Dio, tale atto è chiamato: generazione del Verbo. La stessa cosa dicasi per l'amore: due atti consimili e quello di Dio si chiama la produzione dello Spirito Santo.

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Sublime elevazione di un atto umano che per questo spiraglio – espressione che convien correggere appena adoperata, ma che siamo in diritto di pronunziare – entra a far parte di una vera «circuminsessione».

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Dio è in me. Convien che mi sforzi non tanto per farlo vivere della mia vita, quanto per far vivere me della sua.

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Dobbiamo, infatti, evitare di rinchiudere il Signore nelle angustie dei nostri limiti; sarebbe voler imprigionare l'oceano in una conchiglia e l'Immenso nel nostro nulla. Ricordiamo il detto di S. Agostino: «Habitat in te Deus, sed ut te conlineat. Iddio abita in te, ma perché tu dimori in Lui».

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Con una sfumatura d'intimità il P. Faber diceva: «Procuriamo di penetrare nel mistero della SS. Trinità come nel nostro intimo focolare, perché questo mistero sarà il nostro intimo focolare eterno (Opere postume).

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Questo appunto il divin Maestro domandava a S. Teresa: «Cercami in te stessa. Fa anche di più»; - il che non contraddice, ma spiega il detto precedente - : «Cerca te stessa in me».

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Leggiamo i versi composti dalla grande Carmelitana in questa occasione: (Vita secondo i Bollandisti) In me solo ti devi ricercare … Non su tutta la terra Ma in te sola mi devi ricercare … Cercami sempre nel tuo cuore E il suo paragone espressivo – da comprendersi bene, ma è così vero! – : un recipiente pieno ripieno di acqua e poi, così ricolmo, immenso nell'oceano. Nello stesso tempo è contenente e contenuto.

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Mentre si edificava la Chiesa del Convento «des Oiseaux» a Parigi, nello scavare le fondamenta si trovò una medaglia di rame in forma di cuore, recante da una parte l'effigie del cuore di Gesù colla scritta: «Dieu en moi, Dio in me», e dall'altra l'immagine del Cuore di Maria col motto: «Moi en Dieu, io in Dio».

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Stampiamo a lettere vive questa formula intorno al nostro cuore: Vos in in me et ego in vobis (1 Joan XIV, 20). Due presenze che si corrispondono: abitazione reciproca.

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Il P. Nadal, nel suo trattato sulla Perfezione, raccomandando, con tutti i maestri della vita spirituale, la pratica delle orazioni giaculatorie quale mezzo efficace per giungere all'unione con Dio, suggerisce, come principale, il tema seguente: «Dio è in me ed io sono in Dio. Egli risiede in me; io mi perdo, goccia di nulla divinizzata, nel suo oceano infinito» (De celesti perfectione, p. I c. XIV)

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Programma comprensivo e sintesi della mia intimità possibile con Dio: «Vivere nel più intimo di Lui, che vive nel più intimo di me».

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Provatevi a gettar nel vostro cuore dei «nulla» a migliaia ed a migliaia e poi ancora degli altri «nulla»… Ricolmerete forse il cuore? Chiamato per destinazione soprannaturale ad accogliere l'Infinito, il cuore sarà sempre vuoto, finché l'Infinito non venga a riempirlo.

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Perché la maggior parte degli uomini non sono felici? «Temono di diventare dei miserabili con rinunziare a se stessi», dice il P. Lallemant (La Doctrine Spirituelle), «così restano sempre miserabili».

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Non è stolto quel mendicante, così S. Teresa, il quale rifiuta un ricco vestito regale pel timore di prender freddo nel levarsi di dosso i suoi luridi stracci?

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La gioia dell'intimità divina non esclude la tribolazione, ma rende insipidi tutti i piaceri sensibili: «Chi una volta anche sola ha gustato nel suo interiore le vostre dolcezze, o mio Dio, convien che viva sempre in amarezza quando non può gioire di voi» (S. Francesco di Sales, Tratt. Dell'Amor di Dio, lib. VI, c. XV).

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Chi ha bevuto ad una pura sorgente trova insipida l'acqua delle cisterne.

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Si può patire e possedere insieme la gioia perfetta. Sono campi che non si escludono. Ricordiamo il dialogo di S. Francesco d'Assisi con Frate Leone e il «sovrabbondo di gaudio nella tribolazione» dell'apostolo S. Paolo.

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«Chi ha sete venga!». Dolce e terribile nello stesso tempo questo comando di Dio che ci supplica, che ci chiama. Egli arde del desiderio di stabilire il suo Regno. E il suo Regno – parola così ambiziosa! – non consiste altro che nell'essere amato da me – cosa tanto meschina!

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Al Signore che gli dice: «Io voglio darmi tutto a te», l'Olier tubato, protesta: «Mio Dio, non ho la forza di sostenere tanto peso!».

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«Tu sei il mio tabernacolo: io voglio abitare dentro di te», diceva in confidenza Gesù ad un'anima privilegiata. Ed essa: «se fossi al vostro posto non è me , che sceglierei!» (Journal Spirituel de Lucie-Christine) Ma il Signore ha voluto proprio scegliere «noi»!

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«Nulla è più dolce che l'amore, né più delizioso, né più perfetto, né migliore sia in Cielo che sulla terra, perché l'amore è nato da Dio e non può riposarsi che in Dio, al di sopra di tutte le creature» (Imitazioni di Cristo, l. III, c. V).

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E nello stesso tempo nulla è più sconfortante: «Quando l'uomo, con occhi ardenti di amore, considera nel fondo dell'anima sua l'immensità di Dio e la sua fedeltà: quando pensa alla sua Essenza, al suo amore, alle sue prove d'amore, ai suoi benefici; e poi, ripiegando lo sguardo sopra di se numera i suoi attentati contro il suo Dio immenso e fedele, non può trattenersi dallo sfolgorare il fondo dell'anima sua con uno sguardo così indignato e sprezzante che non sa più come sostenere il proprio orrore» (Ruysbroeck)

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Ci sono due tormenti insopportabili nella vita spirituale: - sentire l'Amore troppo lontano; - sentire l'Amore troppo vicino;

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Troppo lontano… E allora si prova una sete che nulla può estinguere. Sicut desiderat cervus… Il tormento descritto nella Cantica… Veni Domine Jesu. La Maddalena al sepolcro: «Dimmi dov'è?», colla risposta: «Non mi toccare, non è ancora giunta l'ora». Al termine, un desiderio immenso di veder Dio. La frase di S. Teresa: «Io muoio perché non posso ancor morire»; le strofe del Cantico Spirituale e gli accenti infiammati della Viva fiamma d'amore (S. Giovanni della Croce) e il «cupio dissolvi» dell'Apostolo ridotto agli estremi, esultante, sfinito, amante all'eccesso, schiacciato sotto il peso dell'amore.

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Troppo vicino… Il che è peggio ancora. E' così profondo l'abisso: «Tu mihi, Unde venit? Voi fino a me? E donde mi viene un favore così straordinario… eccessivo?» «Io vorrei nascondermi, vorrei andarmene lontano per sfuggire agli splendori e alle grazie di cui mi ricolma Gesù e ancora arde di colmarmi… Io soffro non già perché Egli mi ama, ma perché io non lo amo, perché mi sento impotente ad amare l'Amore».

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Se Dio concede questa fame, ferisce: quando la sazia ferisce più profondamente ancora. I Santi sono concordi nell'affermarlo. E a raddoppiare il mistero si aggiunge, che accanto alla felicità di queste due ferite tutte le altre gioie sono affatto insipide.

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«Amami» dice il Signore: prima richiesta che, nell'atto di ricolmare il nostro cuore, lo crocifigge. «Amami come io amo te»: altra richiesta mille volte più crudele per quel «come» inarrivabile che spezza tutta l'anima, che un'aspirazione senza misura spinge irresistibilmente verso Dio, e che una impotenza anch'essa senza misura tiene disperatemente lontana da Lui!

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Dio è sempre più alto che le due braccia levate del nostro desiderio: senza di Lui si muore, e non possiamo arrivare fino a Lui. E' il supplizio di un uomo legato ad una fune troppo corta e che non può raggiungere l'isolotto dove metter piede!...

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Chi ha preso parte al banchetto di nozze, ne serba il gusto. Chi possiede aspira a possedere di più. Ahimé! «C'è una portata che manca sempre!»

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E' questo un Cielo, poiché possediamo Dio e ne conosciamo le ricchezze: ma non è ancora il Cielo che ci fa beati, perché Dio è posseduto soltanto in modo imperfetto. «E' un Cielo doloroso» diceva un'anima santa, che aveva provato in sé il dolore di questi gaudi.

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Che cos'è il gaudio spirituale? Non è soltanto un sentimento, una consolazione, una felicità, è piuttosto una virtù... la vera libertà dell'anima che cerca Dio. Il non essere in buone relazioni con Dio è l'opposto del gaudio spirituale... Il gaudio spirituale può darsi insieme con ogni stato d'animo, può trovarsi con tutte le situazioni della povera nostra vita. E' un sentimento di ricchezza interiore… Come mai? Voi appartenete al Signore e vorreste rimanere piegati sopra voi stessi, sopra i dispiaceri di ogni giorno? Sono dolorosi, ne convengo, ma voi avete un'intima dimora, un santuario, dove il mondo non può giungere, dove abita soltanto Dio, e la potete sempre dire: O mio Dio, io sono cosa vostra! Né le afflizioni, né le tempeste, né il fracasso di tutto ciò che accade al di fuori possono mai strapparvi a questa dimora segreta, a questo tabernacolo intimo dove potete trattenervi con Dio: amicizia misteriosa che è un Paradiso incominciato. Conviene domandare a Dio questo gaudio spirituale che fa progredire di molto l'anima, che la conduce al puro amore e la solleva tra il Cielo e terra. P. De Ravignan

Attività parrocchiali

Sante Messe

Feriale e Sabato festivo: Ore 18

Festivo: Ore 8 - 9.30 - 11.30

Sante Confessioni

1° Venerdì del mese: 9.30-11

Ogni sabato: 9.30-11 e 17-18

Adorazione

Sabato: Ore 17-18

Domenica: Ore 7-8

3° Giov. del mese: 21.15-22.30

1° Ven. del mese: 17-18 e 21-22

Santo Rosario

Ogni giorno mezz'ora prima della S. Messa pomeridiana.

Il giovedì nelle famiglie: 21.15

Grande liturgia

Con preghiere di lode, consolazione, guarigione, liberazione e S. Messa solenne, 1° Venerdì del mese, ore 21-23

Tutti i mercoledì

Ore 21.15: Preghiera di Lode e catechesi in sala parrocchiale o nel chiostro della canonica.

Primo Martedì del mese

Ore 17: Santo Rosario meditato

Ore 18: S. Messa per i defunti Opera Dottrina Cristiana


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